I due registi raccontano Butterfly: dalla nascita dell'idea fino alla realizzazione del film.
Quando ti imbatti nella palestra della Boxe Vesuviana di Torre Annunziata è difficile non rimanerne colpiti. Non fai a tempo ad entrare che il maestro Lucio, insieme a suo figlio Biagio ti hanno già offerto il primo caffè al bar vicino la palestra. In quei dieci minuti capisci che hai a che fare con persone splendide, genuine, simpatiche e così ti senti già parte della famiglia. Quando poi finalmente entri in palestra e conosci i pugili ti rendi conto che questo luogo è qualcosa di speciale. In un semplice pomeriggio puoi veder transitare ragazzini di dieci anni determinati e pieni di energia, bambine di sette anni che sono quasi più piccole dei loro guantoni, pugili professionisti che si stanno preparando per un titolo Europeo o magari per un Olimpiade assieme ad ex galeotti che fanno i guanti con uomini delle forze dell’ordine. Come dice Lucio “qui le regole sono uguali per tutti”, ed è così da più di cinquant’anni.
È proprio frequentando questo luogo per circa un anno che ci siamo imbattuti in Irma. All'epoca non aveva neanche sedici anni e ci ha subito colpito non tanto per le sue doti pugilistiche (che sono eccezionali) quanto per la sua sensibilità e capacità di essere altro oltre al pugilato. Ecco, questo, era proprio quello che stavamo cercando. Un giorno ci siamo seduti insieme a lei ad un tavolo ed abbiamo fatto una lunga chiacchierata interamente registrata su di un piccolo Tascam. A pensarci oggi, in quell'ora di parole c’era praticamente già tutto il film. C’era una ragazza divisa fra la voglia di vivere appieno la sua età e il desiderio di affermarsi come pugile, una ragazza che in maniera incredibile aveva già capito i rischi sia di un eventuale successo che di una possibile caduta ma soprattutto una ragazza che chiaramente ci disse:
se volete fare un film su di me, deve essere prima di tutto su di me persona, non su Irma l’atleta, almeno questo sarebbe il film che vorrei vedere io al cinema”.
Si perché oltretutto avevamo scoperto che Irma è una grande appassionata di cinema e che al tempo gli ultimi due film che le erano piaciuti erano “Mommy” e “La vita di Adele”. Per noi tutto questo fu abbastanza per iniziare il film, un lungo viaggio poi durato tre anni.
Dal punto di vista della forma le nostre idee sono sempre state chiare: staccarsi dalla forma del reportage televisivo ed avvicinarsi il più possibile al cinema. Volevamo fin dall'inizio che questo fosse un film per il cinema. Sia io che Casey venivamo da anni di esperienze, seppur ben diverse, nel campo del reportage e con questo film volevamo voltare completamente pagina. All’inizio non è stato facile ma con il passare del tempo siamo entrati in una nuova forma di linguaggio che abbiamo sentito sempre più nostra.
Ovviamente abbiamo dovuto imporci delle regole, la più importante delle quali era quella di non realizzare mai interviste. Non pensiamo che un’intervista non sia “cinematografica” anzi, ma per noi era un modo per allontanarsi da un metodo di lavoro che conoscevamo troppo bene.
Siamo entrati in contatto con Indyca, e da lì abbiamo cercato di formare una troupe di maestranze che fossero abituate a lavorare con il linguaggio cinematografico che volevamo intraprendere e iniziato a collaborare con uno sceneggiatore cinematografico.
E’ così che abbiamo lavorato con Giuseppe Maio alla fotografia (e come operatore), con Paolo Giuliani al suono, Guido Iuculano come sceneggiatore, Giorgio Giampà come musicista, Giogiò Franchini come montatore, il tutto seguito da Michele Fornasero di Indyca come produttore.
Le riprese sono state fatte a blocchi di una/due settimane l’uno nell’arco di circa due anni e mezzo.
Durante questo periodo Irma seguiva il suo sogno di qualificarsi all’Olimpiade di Rio. Sarebbe stata la prima donna in Italia che ce l’avrebbe fatta. Ovviamente nessuno sapeva quale sarebbe stato l’epilogo.
Alternati ai blocchi di riprese realizzavamo dei premontati, che abbiamo visionato e discusso con Guido Iuculano, per capire come lavorare nella seguente fase di riprese.
Cercavamo di cogliere il focus della storia di Irma, e quale fattore inquadrare della sua vita personale per il proseguo del racconto.
Quando Irma è stata eliminata ci siamo resi conto con Guido che il film aveva trovato la sua ricchezza: raccontare una storia diversa, originale, più profonda e più emozionante, quella di una crisi di identità, quella della ricerca di un futuro.
E così nel film ha preso spazio Anna, sua madre, Ugo il fratello, Simona, le sue amiche, le sue ambizioni di vita: viaggi in Patagonia, sciamani ma anche la normalità di una ragazza di diciotto anni.
Lo sport di per sé è un qualcosa di emotivamente ricco, colmo di momenti drammatici. Ma a noi non interessava cosa succedeva sul ring. Ci interessava quello che c’era dietro.
Finite le riprese, da Maggio a Settembre 2018 ci siamo chiusi nella deliziosa moviola di Bagnoli con Giogiò Franchini, e così Butterfly è stato rifinito per come lo conosciamo e per come lo potrete vedere al cinema.
È stato un viaggio lungo, difficile e originale che ci ha portati a qualcosa, crediamo, di speciale nella forma e di verità nel risultato. Perché Butterfly è Irma Testa, e sullo schermo c’è proprio lei.
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