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Fabio Natale: la varie stesure, l'ispirazione iniziale, i grandi cambiamenti di "Drive Me Home"

Aggiornamento: 4 gen 2021


Sei il co-sceneggiatore di Drive Me Home, a che punto dell’idea sei arrivato? C’era già un soggetto? In realtà, quando ho conosciuto Simone e abbiamo cominciato a lavorare insieme erano state già scritte diverse sceneggiature, anche molto lontane tra loro. Mi ricordo che una, addirittura, finiva con la morte tragica del protagonista. Una parte corposa del lavoro è stata proprio questa: fare un passo indietro e capire quale fosse l’ispirazione iniziale, perché tra tutti volevamo realizzare proprio questo film. Abbiamo messo a fuoco che più che il ritorno alle origini, la fuga dei cervelli, l’emigrazione e gli altri temi di cui avevamo cominciato a parlare dal primo giorno, quello che ci interessava davvero era raccontare una storia di amicizia.  Da qui siamo ripartiti da capo con tutte le varie fasi del processo di scrittura.


Come spesso capita, tu e Simone Catania avete lavorato per moltissimi anni prima che il film venisse realizzato. Come ti trovi a lavorare su un’idea, su una storia, su dei personaggi, per così a lungo? Tu personalmente col tempo perdi il fuoco o trovi il migliore degli orizzonti? E con Simone che rapporto hai avuto?


Sono abbastanza convinto che ciascun film abbia bisogno di un periodo di lavorazione oltre il quale il progetto rischia di perdere mordente. In un mondo ideale dovrebbe essere adeguato a far maturare la storia ed esplorarne ogni aspetto, ma circoscritto nel tempo. In particolare per quanto riguarda i film più piccoli, che non nascono con grandi risorse alle spalle e vivono soprattutto della passione e l’entusiasmo delle persone coinvolte. L’entusiasmo nel tempo tende inevitabilmente a scemare, negli anni si accavallano nuovi progetti e, insomma, a volte si rischia di perdere un po’ il fuoco, il senso di quello che si stava facendo. Mi rendo conto che nella realtà, tuttavia, film come questo hanno bisogno di molto lavoro prima che si riescano a creare le condizioni perché possano vedere la luce. Per quanto riguarda Simone, sono convinto che il lavoro abbia beneficiato del rapporto di stima e fiducia che si è instaurato praticamente da subito… siamo diventati amici, e se devi lavorare a qualcosa per anni, meglio farlo con un amico che con qualcuno che ti sta sulle palle!



Fabio Natale, co-sceneggiatore di Drive Me Home


A questo proposito, che rapporto hai con i registi, con chi poi dà vita a quelle parole, a quei sogni, a quell’immaginazione. Generalmente ti senti corrisposto da quanto vedi sullo schermo? E in questo caso?
 Assolutamente. Ho una grande ammirazione per il lavoro del regista, che, nonostante tutti gli imprevisti che il set e la realtà produttiva presentano di giorno in giorno, deve riuscire a restituire e incarnare il senso di una storia scritta su carta. Credo che dialogare con il regista, capirne la sensibilità, le intuizioni, il tipo di lavoro che potrebbe fare… e quindi valorizzarlo, mettersi al servizio del film, sia una parte fondamentale del lavoro di sceneggiatura. Quando vedi il tuo lavoro che prende vita sullo schermo, poi… devo dire che è sempre un momento di grande emozione. La creatività e l’immaginazione del regista e di tutte le figure che hanno apportato un contributo personale al film, stratificano e arricchiscono la “tua” storia e il risultato di questa equazione è quasi sempre sorprendente. Sicuramente lo è stato in questo caso.


Nella versione finale del film è stato sacrificata una parte del setting, sia della storia che di uno dei protagonisti, il personaggio di Vinicio. Cosa hai pensato di quella soluzione, ti è sembrato che l’equilibrio trovato nel montaggio fosse più corretto o ti è sembrato che invece quella parte avrebbe dato qualcosa di più al film?



Mi fai una domanda difficile! Effettivamente, dopo tanti anni di lavoro, è quasi impossibile riuscire a guardare il film con uno sguardo “vergine,” quindi ammetto di sentire un po’ la mancanza di qualche elemento di setup sul personaggio di Vinicio. 

Più che di trama è una questione di empatia: ho la sensazione che un avvicinamento più graduale al protagonista, sapere qualcosa di più sulla sua vita, avrebbe potuto aiutare lo spettatore a entrare più rapidamente in relazione con il personaggio e quindi a trovare prima il giusto grado di coinvolgimento nel film. So che è stata una scelta difficile anche per Simone e Chiara Griziotti, la montatrice, dettata da importanti ragioni tecniche ed estetiche e penso che siano riusciti a trovare un nuovo equilibrio per la storia che trovo assolutamente efficace.


Il rapporto fra i due protagonisti è fortissimo, e lo è anche fra Vinicio e Marco, che li hanno interpretati. Una sorta di magia che forse neanche speravate mentre scrivevate il film, o sentivate già in scrittura che avevate colto alcuni aspetti essenziali dell’amicizia?
 Da un certo punto in poi ci è stato molto chiaro che avremmo voluto raccontare anzitutto la storia di un’amicizia. Un film, però, è fatto di persone, e Marco e Vinicio hanno portato nel film loro stessi, animando i personaggi in un modo unico e personale. Con due attori diversi sarebbe stato un altro film. Della magia di cui parli, comunque, va dato il giusto merito anche a Simone e a tutto il lavoro che ha fatto insieme a Marco e Vinicio.


Drive Me Home affronta tanti temi che sembrano diversi fra loro, il lavoro, il viaggio, i wwoof, l’Europa, l’amicizia, la perdita, il rapporto con l’infanzia, l'identità, temi che in qualche modo portano tutti ad un unico punto: la ricerca della propria casa, della propria origine. Pensi che la “casa” sia qualcosa che si perda o che si debba trovare, nel corso della vita? Penso che la “casa,” per come la intendiamo in Drive Me Home, sia un luogo interiore più che fisico. Scrivendo il film abbiamo sempre associato il tema della casa a quello dell’identità: siamo a casa quando riusciamo ad essere in contatto con la parte più autentica di noi stessi e, a volte, questo accade più facilmente quando ci troviamo insieme alle persone che ci conoscono meglio o a cui abbiamo scelto di affidare un pezzetto della nostra vita. E’ per questo che Antonio, in un momento di particolare smarrimento esistenziale, cerca Tino, il suo amico d’infanzia, la persona che lo conosce meglio di chiunque altro. Con Ugo Chiti state già lavorando all’opera seconda di Simone Catania, "Brianza", una storia scabrosa e incredibile, vuoi raccontarci qualcosa? O è tutto top secret? ;)

Siamo in una fase dello sviluppo non ancora matura, ma si tratta di una storia molto forte, ispirata a un fatto di cronaca nera di qualche anno fa. La nostra Brianza, però, è un luogo quasi fiabesco, dai tratti grotteschi e a volte eccessivi, registro che ci sembra particolarmente appropriato a raccontare la realtà italiana contemporanea. Più che il fatto di cronaca in sé, nudo e spietato, vogliamo raccontare una sorta di favola nera.

DRIVE ME HOME - PORTAMI A CASA Un film di Simone Catania Prodotto da #Indyca e #Inthelfilm con #RaiCinema


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