La storia di Fabio Zaffagnini, delle persone intorno a lui e di tutti i mille incredibili personaggi la cui avventura è narrata in We Are The Thousand, ci dà l’occasione di riflettere sul concetto di unità, di sogno (e inconscio) collettivo, e di conseguenza sul movimento interiore del singolo: sull’ego. Fabio, come chiunque abbia un sogno “irrealizzabile” ha smosso nell’animo prima dei suoi amici e collaboratori e poi di moltissime altre persone qualcosa di impercettibile. I sogni, per quanto “irrealizzabili” siano, per quanto “folli” siano, devono rimanere un metro al di qua del limite, devono essere percepiti come improbabili ma possibili. Cosa ce lo impedisce?
Fabio e Anita e Cisko e Maria Grazia e Martina e Marta e Claudia e tutti gli altri hanno posto l’asticella in cima al monte, ma qual era la cosa più “incredibile”? Suonare in mille nello stesso momento (e diventare un giorno la più grande Rock Band della storia?) o far arrivare a Cesena, nella provincia della provincia dell’impero, una band internazionale: i Foo Fighters? Mettere in piedi quello per fare quell’altro, riuscire a fare una cosa impossibile per ottenerne un’altra ancor più impossibile: far arrivare i Re nella periferia del mondo. Impossibile, sì, ma sempre un pizzico al di qua: il sogno dei mille prima di Rockin’1000 era, ontologicamente, realizzabile.
Confusamente, forse, astrattamente, “serendipicamente” tutti quei mille stavano, come falsa pista, cercando di suonare insieme per ottenere una cosa difficile ma tutto sommato banale: un concerto, una data in più nei tour mondiali dei Foo Fighters. Più in fondo, inconsciamente, nel sottotesto, stavano invece dimostrando a se stessi di poter avere un’occasione, di poter fare qualcosa di grande. Ogni singolo millino, e Fabio, tutti e ognuno stava singolarmente dimostrando qualcosa a se stesso. Un qualcosa di grande in numero, di grande in ambizione, di grande e poi enorme nei risultati. Risultati che sono andati talmente oltre le aspettative che oggi sembra una di quelle intuizioni della scienza, una di quelle scoperte che poi portano alla bomba atomica, senza averla inizialmente pensata, né intravista. Una cosa pressoché infattibile, ma che nessuno aveva mai pensato prima. Un’idea in grado di contrastare l’opinione vagante, la distruzione del malaugurio: “non ce la faranno mai”. Un “epic stunt”, come lo definisce la CNN.
In milioni di anni di storia, in secoli di musica, nessuno prima ha mai avuto l’ardire di far suonare contemporaneamente mille persone. Uno, due, tre, cinquanta, sessanta, duecento, cinquecento. Quante sono mille persone? Sono un’infinità. Come si fa a mettere tutto a synch, come si può tenere tutto insieme, far funzionare una cosa così complessa? Quanto costa? Come possiamo fare? Un crowdfunding basterà? Come si possono mettere mille teste e mille cuori sulla stessa linea d’onda? Di solito si litiga in quattro, in tre, in due.
Non qui, qui l’ego si annulla. Nessun virtuosismo, nessuna primadonna, qui si fa la storia o si muore. Oppure è tutto il contrario, è proprio il terreno in cui l’ego trova finalmente il suo spazio di esposizione, fa tremare le gambe e allinea la storia di tutte quelle persone che per sfortuna, eventi, carattere, talento non avevano ancora avuto la loro occasione.
Uomini, donne, ragazzi, bambine unit* per un unico obiettivo, sì, ma finalmente in fila per sfilare sul palcoscenico del mondo. Fra quei mille probabilmente c’erano persone che neanche amavano i Foo Fighters, per cui ottenere un loro concerto era secondario, perché non avrebbe cambiato le loro vite. Ciò che stava cambiando la loro vita non era l’obiettivo futuro, era il presente, era l’essere lì, far parte di, suonare con, non suonare per. Il resto era incidentale, lontano, chissà. Dobbiamo solo suonare tutti a synch. Qui, ora. Raggiungere l’estasi. Il resto si vedrà.
“Incredibile, straordinario, entusiasmante”. Questi sono alcuni dei commenti che la riuscita di questa impresa – si tratta di una vera e propria impresa – ha ottenuto in tutto il mondo. E commozione. Tutto il mondo si è commosso, ha pianto. Letteralmente tutto il mondo non ha trattenuto le lacrime. Compreso il destinatario di quel messaggio, Dave Grohl, che pure di cose ne ha viste, dai Nirvana ai Foo Fighters.
Centinaia di migliaia di messaggi, di complimenti, attestati di partecipazione, passione e stima sono arrivati a Fabio, Martina, Claudia, Anita, Cisko, Maria Grazia, Marta. Da tutto il mondo. “Avete fatto una cosa incredibile”. “Ho la pelle d’oca”, in tutte le lingue del mondo.
E allora è straordinario rendersi conto che un movimento che parte da una idea, da un’intuizione, da una necessità (uscire dall’anonimato, essere riconosciuti come importanti, nonostante non si sia nessuno, nonostante si viva a Cesena) è così forte da essere imbattibile e da creare infine una community mondiale. Era questo grido nella notte, questa determinazione di ogni singolo millino, che ha nutrito l’ego e l’autostima: esisto anche io. L’ego di Fabio, costruire qualcosa di grande, l’ego di Dave, essere supplicato da mille persone. E come una setta improvvisata, l'ego dei guru, i giuramenti, il maestro che dà indicazioni dall’alto, con click e semafori e benedizioni. L’umano e lo spirituale insieme. Si può fare. Si può fare!
L’ego che si unisce e che – a causa della meraviglia - si apre e si diffonde negli altri, si moltiplica, come il consenso, per centri concentrici sempre più grandi. Solo la musica può fare. L’anelito di musicisti che fanno altro nelle loro vite, di un geologo marino che viene lanciato, come una rockstar, su un palco. Inneggiato e ringraziato, Fabio, amato. Umile e ambizioso insieme: ce la faremo. L’orgoglio di aver pensato, reso possibile, e ancora aver suonato in un evento memorabile, una smisurata preghiera che ha commosso e fatto urlare – almeno – cinquantacinque milioni di persone.
Il bene più alto, quello dell’insieme, sembra allora nascere e diffondersi da una singola necessità, da un singolo ego all’altro, creando un mondo-ego collettivo che sorprende e commuove. Che sembra toccare le corde più profonde dell'animo, dell’essere umani. Non la performance, non la preghiera, ma la gioia negli occhi, i cuori che si uniscono, il canto agli Déi che realizza un “huge miracle”. E un miracolo è – a tutti gli effetti – We are the thousand, l’incredibile storia di Rockin’1000.
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