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Immagine del redattoreIndyca

Siamo camionisti. Mangiamo merda.

Aggiornamento: 4 gen 2021



Sono un camionista, faccio una vita di merda, una vita da camionista. Negli autogrill mangio merda. Niente odora di cibo, negli autogrill, solo odore di piastra. Panini alla piastra, hot dog, hamburger, tutta merda calda che sa di piastra. Almeno quando vado in bagno, se ci hanno appena passato lo spazzolone e il pavimento è ancora bagnato, sento odore di fiori. Il profumo insano dei detergenti. Ho preso le piattole nei cessi degli autogrill, anche in quelli che profumavano di primavera sintetica. Le schiacciavo a una a una le piattole, poi un collega mi ha dato una pomata. Me le sentivo scoppiare vicino all'uccello come mortaretti. Adesso va un po' meglio con le piattole.

Carico ragazze in un autogrill e le scarico in quello dopo. Non sono autostoppiste. Non vogliono andare da nessuna parte. Non vorrebbero venire neanche con me, ma non ci vengono per niente. Se non hanno uno spazzolino da denti, glielo do io, nuovo ancora dentro nel cellophane. Li compro dei cinesi a dozzine. Siamo gente pulita, noi camionisti, è il mondo che è sporco.


Volete sapere che cosa trasporto oltre le ragazze? Non lo so e non voglio saperlo. Prendo i container chiusi, sigillati, e li consegno chiusi, sigillati. Non voglio storie. Però posso garantirvi che dentro non c'è niente che si muova o rotoli. Non voglio storie, io sono solo un trasportatore. Uno che va dal punto A al punto C senza deviazioni. Da deposito a deposito. Non conosco altre lettere dell'alfabeto.

"La C sta per Casa mia, ma è una storia che è solo mia, non mi va di raccontarla a voi".

I viaggi sono lunghi. Mi ero comprato due cani che mi tenevano compagnia. Poi uno mi è morto, schiacciato da un camion che usciva dal parcheggio di un autogrill. Ho visto che camion era, l'ho fotografato con gli occhi, e da allora, quando arrivo in un autogrill, controllo se lo vedo. Non l'ho più visto, ma se lo ritrovo, quel bastardo, gli sfascio la faccia con il cric. L'altro cane l'ho dato via, l'ho dato a un collega che sono sicuro me lo tratta bene. Non potevo vederlo con quegli occhi che continuavano a chiedermi perché, non potevo sentirlo guaire. Sono sicuro che adesso starà meglio. No, non sono sicuro.


Sono un camionista che non si fida di nessuno e che non vuole storie, ve l'ho detto no, e che non carica le vere autostoppiste, però una era diversa dalle solite. Non voleva soldi, me li ha dati. E ha scritto quel che avete appena finito di leggere. Quando l'ho rivista mi ha detto che lavorava per un giornale di Tampa.


"Lo sapevo che c'era sotto qualcosa, mi faceva delle domande, pensavo che fosse una maniaca, una scappata da un qualche istituto o una sociologa o una suora in borghese, non so".



Mi ha fatto rileggere quel che aveva scritto. È buono, le ho detto. Anche tu lo sei, mi ha detto. Sì, quel giorno sapevo di buono. Mi ero messo del profumo, le piattole era da un po' che non si facevano vive. Bel pezzo, le ho detto rimorchiando i miei occhi dai suoi fino al suo seno. Mi ha fatto il verso: anche tu. E mi ha squadrato dalla punta degli stivali fino all'ala del berretto con una brusca frenata appena sotto la mia cintura, come se si fosse trovata davanti a un ostacolo imprevisto. Sì, era proprio un bel pezzo di polpa, La prima volta non mi era sembrata. Si era come camuffata.

"Voglio vedere dove dormono i camionisti", mi ha detto, dopo che abbiamo finito di guardarci. Pronti. Si accomodi. Si è accomodata. Dopo le ho restituito i soldi dell'altra volta. Mi ha detto che il letto era comodo".


Forse ci scriverà un altro pezzo. Loro li chiamano così.

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(Pezzo pubblicato originariamente dal Tampa Herald in lingua inglese)

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